L’espressione del volto dice tutto ed è migliore di mille parole! Questo è lo spirito che accompagna la rubrica Memoji Review. In occasione del Premio Strega vi propongo una serie di articoli dedicati ai dodici libri candidati per l’edizione di quest’anno.
Iniziamo il nostro viaggio alla scoperta della dozzina della LXXV edizione del Premio Strega partendo da due romanzi molto diversi ma che presentano un paio di elementi in comune.
In questo Memoji Review speciale Premio Strega vi parlerò di Borgo Sud di Donatella Di Pietrantonio e L’anno che a Roma fu due volte Natale di Roberto Venturini. In questi due romanzi incontreremo delle figure femminili di cui vale la pena parlare e per certi versi in entrambi troveremo due realtà in cui il mare e il mondo dei pescatori fanno da sfondo ideale.
Donatella di Pietrantonio – Borgo Sud
Borgo Marino Sud è un quartiere di Pescara. Vecchie casette basse dove i pescatori vivono da generazioni, alloggi popolari dell’Ater un po’ malmessi, il porto turistico sulla foce del fiume che divide in due la città e il degrado tipico di una zona periferica abbandonata al suo destino. È qui che Donatella Di Pietrantonio ambienta il suo ultimo romanzo. Ed è a partire dall’immagine quasi da cartolina di questi pescatori che l’autrice dipinge il suo Abruzzo. Una terra da cartolina sì, ma sbiadita dal tempo, che presenta il fascino di un ricordo lontano:
Sul retro della casa verde i vicini si radunavano il sabato sera ad ascoltare Rafael che cantava accompagnandosi con la chitarra. Erano momenti di felicità per Isolina: suo figlio a terra, al sicuro intonava L’immensità di Don Backy o il nostro eterno Vola vola vola, e al ritornello la gente del Borgo si univa in coro. Qualcuno cuoceva gli arrosticini sulla fornacella, qualcun altro li distribuiva in giro, insieme al vino. A fine settimana gli uomini erano affamati di carne, non volevano più saperne del pesce che per giorni avevano mangiato alla svelta sulle barche.
Sono luoghi arcadici e pittoreschi attinti dall’immaginario collettivo ma che ben si addicono alla storia narrata. Sono luoghi evocati dai ricordi nostalgici della protagonista. Quei ricordi sono spesso dolorosi però vengono fuori mitigati e anche mitizzati attraverso gli odori, i sapori – fossero anche solo semplici granelli di sabbia che stridono sul palato in una giornata di vento – o semplicemente per mezzo di quelle immagini del tempo che fu.
Il passato torna a galla dopo una telefonata improvvisa che costringe la protagonista a mettersi in viaggio verso la terra natia e verso quella sorella, Adriana, così diversa e così lontana:
Genitori e fratelli, il paese sulle colline, erano lontani, nella durezza del dialetto. Occupavano ricordi non proprio felici, e solo un poco il presente. Lei, al contrario, era sempre così viva e pericolosa. Provavo forte il disagio di essere sua sorella.
Il rapporto conflittuale tra le due sorelle è subito delineato. L’amore che le lega è palpabile ma anche la profonda distanza causata da due stili di vita così diversi. Mi sembra quasi di ritrovare, nelle due protagoniste, Lila e Lenù nate dalla penna di Elena Ferrante. Il confronto è un po’ azzardato – ne sono sicura – ma riconosco vagamente i tratti di Lila nella rabbia e nella cattiveria di Adriana, nel suo dialetto, nella sua aria sprezzante che altro non è se non la corazza di tutte le sue fragilità; così come ritrovo un po’ di Lenù nella pacatezza, nell’istinto di protezione e nella diligenza dell’io narrante.
La narratrice di questa storia ci porta nella sua vita. Ci apre le porte del suo cuore. Ci racconta in parte la sua infanzia, per nulla felice, con due genitori poco inclini a slanci d’affetto che però nonostante tutto restano fino alla fine la madre e il padre da amare e accudire. Ci narra la sua giovinezza, il suo matrimonio in crisi. Ci introduce in un fiume di ricordi, innescati da quella telefonata improvvisa, che a loro volta introducono Adriana, l’altra protagonista di questo romanzo. La sorella che piomba in piena notte in casa della narratrice con un piccolo fagotto tra le mani, di cui la famiglia ignora totalmente l’esistenza.
Donatella di Pietrantonio a mio avviso, in Borgo Sud ha saputo delineare delle figure femminili complesse, un legame solido ma ricco di conflitti e un intreccio emozionante. Dell’autrice avevo letto solo Mia madre è un fiume e anche lì avevo riscontrato la sua capacità di raccontare l’amore misto all’odio dei legami familiari, di far scorrere il fiume dei ricordi in maniera così limpida, vitale ed emotivamente coinvolgente per cui per me questo romanzo è una conferma e non vedo l’ora di recuperare L’Arminuta per aggiungere un nuovo tassello alle vite di quest’io narrante ancora senza nome e di sua sorella Adriana.
Roberto Venturini – L’anno che a Roma fu due volte Natale
L’anno che a Roma fu due volte Natale fin da subito sai che ti farà ridere ma che sarà un riso amaro di quelli che lasciano spazio a una tristezza «poco appariscente ma molto colorata», proprio come il disagio della protagonista. Disagio è a tutti gli effetti il termine che meglio descrive il romanzo a partire dalle difficoltà che caratterizzano la protagonista, per poi soffermarsi sul degrado del litorale romano in cui Venturini ambienta la vicenda, fino alle esistenze ai margini della società di coloro che ruotano attorno agli avvenimenti narrati.
La storia è alquanto surreale. Alfreda è una donna anziana, in forte sovrappeso, con un dolore nel cuore che è un vuoto straziante e al quale tenta di porre rimedio accumulando compulsivamente oggetti.
La sua vita era stata tutta così: piena di buchi che offendevano la bellezza di quello che era stato.
La perdita dell’amato marito Mario in mare, durante una battuta di pesca è quel duro colpo dal quale Alfreda non si è più ripresa. Donna bellissima un tempo. Una Patty Pravo mora con una famiglia da Mulino Bianco o meglio da dado Knorr e una villetta fronte mare in quel Villaggio Tognazzi a Torvaianica, meta estiva preferita dalle celebrità. E poi il lutto, l’incapacità di superarlo, la testa che non funziona più come dovrebbe e Sandra che piagnucola nei suoi sogni notturni inquieti dalla poltroncina della camera da letto. Sandra è Sandra Mondaini, con la quale Alfreda si convince di parlare nel sonno e dalla quale apprende il disagio – di nuovo lui – della celebre attrice comica di non riposare per l’eternità nella stesso luogo del suo Raimondo. È così che un gruppo – ebbene sì – di disagiati capitanati dal figlio della donna, nullafacente e spesso rintronato da sostanze stupefacenti di ogni genere, decidono di trafugare la salma di Vianello per farlo ricongiungere con la sua Sandra.
Di questo romanzo ho apprezzato tutti i riferimenti alla cultura popolare anni ’70-’80, alle pubblicità e alla televisione commerciale. Ma anche i riferimenti ai tempi d’oro di Cinecittà, quando i luoghi narrati, che oggi riversano in totale decadenza, in balia di mafie e malaffare, erano sulla cresta dell’onda. Ho apprezzato il fatto che tutti questi rimandi stridano con contesto e personaggi tanto da risultare grotteschi.
Inoltre mi è piaciuto molto come l’autore abbia usato il romanesco per dare colore e concretezza ai dialoghi così da rendere i personaggi ben inseriti nel contesto, non macchiette bensì reali e credibili nonostante tutto.
E poi c’è la neve che quando ricopre quei luoghi dove di solito non compare mai ha il potere di incantare e di cambiare volto anche agli ambienti più nefasti:
La nevicata era riuscita a ingentilire pure quel posto.
E che posto. Assolutamente tutto da scoprire.