Memoji Review speciale Premio Strega 2021 n. 2

L’espressione del volto dice tutto ed è migliore di mille parole! Questo è lo spirito che accompagna la rubrica Memoji Review. In occasione del Premio Strega vi propongo una serie di articoli dedicati ai dodici libri candidati per l’edizione di quest’anno.

Continua il nostro viaggio alla scoperta della dozzina della LXXV edizione del Premio Strega. In questo Memoji Review vi parlerò di Due vite del critico letterario e scrittore Emanuele Trevi e di Sembrava bellezza della scrittrice e sceneggiatrice Teresa Ciabatti.

Emanuele Trevi – Due vite

Due vite è un libro di appena 77 pagine così intense e ricche di significato da essere lette e rilette piacevolmente. Due vite innanzitutto –  se vogliamo per forza inscatolare il libro in un genere preciso – è un autofiction, per cui è l’autore a raccontare eventi della sua vita ma a differenza della classica autobiografia egli è libero, per ragioni di carattere narrativo, di stravolgere la realtà, o meglio, piegarla, smussarla, renderla funzionale al racconto, insomma, romanzarla un po’.

L’intento di Trevi, piuttosto che raccontare se stesso, è quello di raccontare se stesso nel suo rapporto con due figure importanti della sua vita, non solo due “semplici” amici bensì due notevoli personalità della letteratura italiana. Ne viene fuori un volumetto che racchiude al suo interno ricordi di vita ma anche un piacevole saggio di critica letteraria e una profonda riflessione filosofica sulla vita stessa.

Le due vite di cui Trevi ci parla in questo volume sono quelle di Pia Pera e Rocco Carbone. Sono due vite che lo scrittore evoca partendo da una serie di fotografie ritrovate. Esse documentano una delle tante serata, in cui giovani e spensierati, i tre amici si affacciano al mondo con i loro desideri, le loro speranze, i loro primi approcci con la letteratura. È il 1989 o 1990. Una semplice sera come tante che la memoria ripone in un cassettino e che fa sparire finché a sollecitarne il ricordo non interviene la vista, per mezzo della quale, Trevi fruga nel tempo passato e decide nostalgico di far riaffiorare tutto su carta.  Quelle del titolo sono anche le due vite che ogni essere umano è destinato a vivere:

La prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene. E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene allora noi ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno.

Ecco dunque che Emanuele Trevi trova nella scrittura il mezzo per curare la mancanza insita in coloro che restano. La scrittura è come una sorta di seduta spiritica in cui i propri cari tornano restringendo la distanza inevitabile causata dalla morte:

Ne deduco che la scrittura è un mezzo singolarmente buono per evocare i morti, e consiglio a chiunque abbia nostalgia di qualcuno di fare lo stesso: non pensarlo ma scriverne, accorgendosi ben presto che il morto è attirato dalla scrittura, trova sempre un suo modo inaspettato per affiorare nelle parole che scriviamo di lui, e si manifesta di sua propria volontà, non siamo noi che pensiamo a lui, è proprio lui una buona volta.

E questo esercizio terapeutico dell’autore permette a noi tutti di godere ancora di queste due figure scomparse troppo presto.  I “ritratti scritti” che ne vengono fuori sono necessari per tutti coloro che si nutrono di letteratura. Di questo piccolo saggio e delle minute ma intense riflessioni contenute al suo interno,  se ne sentiva proprio il bisogno. Apprezzatissimo!

Teresa Ciabatti – Sembrava bellezza

Un’amicizia ritrovata fa scaturire nell’autrice tutta una serie di insicurezze e di sgradevoli cicatrici legate al passato: dalla competitività che è rivalsa, ai disturbi legati al peso, alla difficoltà dell’accettazione di sé. In più torna vivo il ricordo di un incidente che ha imprigionato a diciotto anni la mente dell’ormai cinquantenne Livia, ragazza bellissima invidiata e venerata come una divinità dall’allora giovane protagonista. E poi ci sono i problemi con i quali ogni giorno bisogna fare i conti: un matrimonio fallito, una serie di amanti, causa e conseguenza del suddetto disfacimento coniugale, un dialogo inesistente con l’unica figlia, il lavoro, la quotidianità.

Teresa Ciabatti è un fiume in piena. La narrazione oscilla tra la Roma dei Parioli degli anni ’80 – quando la leggenda voleva che le ragazze scomparissero nei camerini dei negozi  di Via del Corso, senza lasciare traccia, come Emanuela Orlandi – in cui l’autrice fatica ad essere accettata dalle sue coetanee e la Roma di oggi, del successo, dell’età adulta nella quale camminare a testa alta fiera di essere “arrivata”. Ciabatti scava nei ricordi con una scrittura cinematografica che fotografa gli eventi con la velocità di un click o la sollecitudine di una fotografia time-lapse:

Pomeriggio di un giorno qualsiasi in un paese di provincia, immagino i giorni scorrere uguali. Il cielo si addensa di nubi, la pioggia svirgola fitta, estate, le foglie secche alzate dal vento, autunno, inverno, scende la sera.

Balza da una reminiscenza all’altra (“ottobre – adesso siamo a dicembre tenetelo a mente”). Delinea situazioni, luoghi, tempi, con la precisione chirurgica e lapidaria di una sceneggiatura (“primo pomeriggio, interno borghese”). Allinea le fila del discorso e ricomincia. Lo fa rivolgendosi continuamente al lettore come a volergli dare uno scossone ma interpella anche se stessa – si dà del tu, tipo “ehi tu scrittrice” – ponendosi delle domande. Domande che però hanno risposte da prendere con le pinze. È il bello dell’autofiction in cui non si sa mai dove finisca la fantasia e dove inizi la realtà: 

Tutto ciò per dire che in quel tempo realtà e sogno si confondono, e quello che segue è reale fino a un certo punto. O Meglio, pezzi mancanti compensati da aggiunte immaginifiche, e fantasie che nella ripetizione diventano reali, illusioni ottiche, vere e proprie invenzioni. Non sono una persona attendibile.

Questo romanzo oscilla tra l’irritante e l’irresistibile. È la prima volta che mi avvicino alla scrittura di Teresa Ciabatti e devo essere sincera, i sentimenti sono contrastanti. È una scrittura che mi disturba parecchio. È uno sfogo potente ma seccante, quasi molesto eppure l’ho sorbito tutto, come un qualcosa al quale per una ragione incomprensibile non si può fare a meno. Sicuramente all’autrice bisogna riconoscere il merito di non lasciare il lettore indifferente e di suscitare emozioni. Ben vengano anche quelle negative!


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