L’espressione del volto dice tutto ed è migliore di mille parole! Questo è lo spirito che accompagna la rubrica Memoji Review. In occasione del Premio Strega vi propongo una serie di articoli dedicati ai dodici libri candidati per l’edizione di quest’anno.
Continua il nostro viaggio alla scoperta della dozzina della LXXV edizione del Premio Strega. In questo Memoji Review vi parlerò dei memoir Il libro delle case di Andrea Bajani e Il pane perduto di Edith Bruck.
Andrea Bajani – Il libro delle case
Con Il libro delle case e La casa delle madri di Daniele Petruccioli – di cui vi parlerò nel prossimo Memoji Review – i libri proposti per il Premio Strega di quest’anno, per gioco, mi viene da definirli “letteratura da catasto”. A parte gli scherzi ovviamente, un tema chiave di questa edizione è sicuramente la casa, intesa come contenitore materiale ed emotivo delle storie narrate. Nel romanzo di Bajani la casa, anzi le miriadi di case presentate dall’autore, sono punti di partenza, luoghi chiave, fili conduttori della vicenda. A volte sono luoghi metaforici, molto spesso spazi reali, vicini o lontani nel tempo ma concreti. Così concreti che ogni tanto ci sono vere planimetrie catastali che fanno la loro comparsa tra le pagine!
Quello di Bajani è un memoir ma i personaggi che popolano il romanzo hanno nomi comuni – Padre, Madre, Moglie, Bambina e così via… – ed il protagonista è un ‘Io’ che perde la sua naturale funzione deittica per farsi generico personaggio di cui l’autore ci narra la storia, dall’alto del suo ruolo di narratore onnisciente. Il narratore che tutto sa e tutto vede qui “gioca in casa” perché vede il personaggio che più di tutti è in grado di descrivere a 360 gradi: se stesso – bambino, nella “casa del sottosuolo”, adolescente nella “casa sotto la montagna”, adulto nella “casa signorile di famiglia” e in tutte le altre abitazioni che hanno influenzato e formato la sua esistenza. Lo analizza al microscopio, mentre indica ai lettori cosa guardare, cosa memorizzare, a cosa prestare attenzione. Il lettore, portato per mano dall’autore, ricostruisce così la vita di “Io”. Prende nota dei suoi successi, delle sue delusioni, dei suoi fallimenti e dei suoi sentimenti. E poi degli eventi che indirettamente hanno segnato la sua esistenza: il sequestro di Aldo Moro (Prigioniero) e l’assassinio di Pierpaolo Pasolini (Poeta). Il lettore spazia nel tempo e tra le mura di case reali e immaginarie. Salta da un tempo all’altro, da un evento all’altro, da un ricordo all’altro. Ma i ricordi si sa, tendono a mutare nella mente, mitigati dal tempo, dalle aspettative, dai rimpianti. Molti se ne vanno via, si perdono. Ma c’è una casa anche per loro. È la “casa dei ricordi fuoriusciti”.
Il romanzo, che è stato selezionato anche per il Premio Campiello, merita di essere letto. È una narrazione particolare che incuriosisce e non disattende le aspettative. Devo dire che mi è piaciuto molto il finale. Spesso purtroppo romanzi bellissimi hanno però finali che non soddisfano in pieno. Non è il caso del romanzo di Bajani nel quale – tranquilli niente spoiler! – abbiamo uno di quei finali in cui lo schermo si fa gradualmente scuro mentre compare la scritta fine.
Edith Bruck – Il pane perduto
Primo Levi vinceva la prima edizione del Premio Strega nel 1963 con La tregua, ossia il ritorno a casa dell’autore dopo la terribile esperienza dei campi di concentramento. Se la domanda è: “è necessario un altro romanzo sugli orrori dell’Olocausto?”. La risposta è indubbiamente sì! Il pane perduto è un libro necessario al pari di Se questo è un uomo e del successivo La tregua. È uno di quei libri da far leggere nelle scuole. È la Storia, con la ’s’ maiuscola. Sono molto felice di averlo letto e che sia nella dozzina soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo in cui non si può e non si deve abbassare la guardia:
“Da figlia adottiva dell’Italia, che mi ha dato molto di più del pane quotidiano, e non posso che essergliene grata, oggi sono molto turbata per il Paese e per l’Europa, dove soffia un vento inquinato da nuovi fascismi, razzismi, nazionalismi, antisemitismi, che io sento doppiamente; piante velenose che non sono mai state sradicate e buttano nuovi rami, foglie che il popolo imboccato mangia, ascoltando le voci grosse nel suo nome, affamato com’è di identità forte, urlata, e italianità pura, bianca; che tristezza, che pericolo.”
Quelle di Edith Bruck sono parole che vanno lette con attenzione.
Il memoir della scrittrice ripercorre tutta la sua vita, dall’infanzia strappata, all’orrore dei campi, dallo smarrimento seguito alla liberazione e il doloro della perdita, alla nuova vita in Israele, fino all’arrivo in Italia – e queste sono le pagine più affascinanti per chi ama il cinema e l’Italia della Dolce Vita – e la toccante lettera a Dio finale. C’è tutto il secolo scorso in queste pagine che si leggono tutto d’un fiato ma con un macigno piantato nello stomaco.